L’indicibile costituisce il filo in grado di cucire la problematica sorta nel pensiero di Lacan a proposito del linguaggio con le questioni originatesi dalla cosiddetta svolta linguistica che ha visto la filosofia mettere in discussione se stessa attraverso l’analisi dello strumento con il quale si affaccia al sapere: è possibile immaginare un sapere altro dal linguaggio, un sapere che precede, il linguaggio stesso?
Nel IV Seminario, Lacan porrà subito in evidenzia la distinzione tra intersoggettiività immaginaria e intersoggettività simbolica, evidenziando il valore privilegiato della seconda sulla prima, attraverso la quale il soggetto riesce a ricostruire la sua verità, nella parola rivolta all’Altro, compagno questo di ogni operazione di verità. In sostanza la verità si alimenta di finzione, dove l’amore stesso è solo finzione, illusione narcisistica che rimanda sempre all’Altro.
L’illusione, la finzione sostanzia il nulla che costituisce la concezione lacaniana dell’io, dell’essere-nel-mondo, l’Esserci heideggeriano, Dasein, in-der-Welt-sein, che è sempre in una relazione all’Altro, sempre e perennemente lanciato verso l’Altro, aspetto questo che va a scardinare l’idea ingenua di un soggetto come assoluta interiorità. “Quell’essere verso cui l’Esserci può comportarsi in un modo o nell’altro e verso cui sempre in qualche modo si comporta, noi lo chiamiamo esistenza”[1] questa caratterizzazione dell’esserci come costituente dell’esistenza a fronte dell’essere che permane nella sua indicibilità, s’intreccia fortemente con il tema della finzione.
Lo stesso Vico rimprovera a Cartesio il cogito in quanto scienza del proprio essere, verum ipsum factum, il vero è il fatto stesso, verum et factum converuntur, il vero e il fatto si convertono l’uno nell’altro dirà Vico l’uomo conosce solo ciò che fa. L’uomo, l’Esserci, l’essere-nel-mondo, non conosce la causa del proprio essere, egli non si crea da sé, per Vico, Cartesio avrebbe dovuto dire non già, “io penso quindi sono”, ma “io penso dunque esisto”. L’esistenza rappresenta il modo d’essere proprio dell’uomo, l’Esserci è lo star sopra, l’esser sorto, e questo star sopra suppone la sostanza, ciò che costituisce l’essenza. L’indicibile.
[1] M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1976, p. 28.