Tratto da Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 262-265 – Repubblica, 439 a-441 c
1 [438 d] […] [Socrate] Questo, ripresi, intendevo allora dire, puoi bene affermarlo, se adesso hai compreso: tutte le cose che sono in relazione con un oggetto, considerate in sé e da sole hanno relazione con gli oggetti presi in sé e da soli; ma cose dotate di una determinata qualità l’hanno con oggetti [e] dotati di quella qualità. E non dico che siano esattamente quali sono i loro oggetti; non dico che, per esempio, la scienza delle cose sane e malate è sana e malata, e quella delle cattive e buone cattiva e buona; ma poiché essa è divenuta scienza non di ciò che costituisce l’oggetto della scienza, ma di un oggetto determinato, ossia del sano e del malato, eccola divenuta anch’essa una scienza determinata; e perciò non la si è piú chiamata semplicemente scienza, ma, per l’aggiunta della specificazione, scienza medica. – Ho compreso, rispose, e mi sembra che sia cosí. [439 a] – E la sete, feci io, non porrai tu che quello che essa è, lo è nel numero delle cose “che sono di qualcosa”? Essa è, non è vero?, sete di … – Sí che la porrò, rispose; è sete di una bevanda. – Ora, per una bevanda determinata non c’è anche una determinata sete? E non è vero che la sete in sé non è sete né di molta né di poca bevanda, né di una bevanda buona né di una cattiva, né, in una parola, di una bevanda determinata? E invece, sete come sete, non è per natura soltanto sete di una bevanda in quanto bevanda? – Assolutamente. – Perciò l’anima di chi ha sete, in quanto ha sete, non desidera altro [b] che bere e tende e mira a questo. – È chiaro. – Ebbene, se, quando ha sete, c’è qualche altra cosa che la tira in senso opposto, non ci sarà in lei un elemento diverso da quello che ha sete e che, come una bestia, la spinge a bere? Perché, come s’è detto, l’identico oggetto non può effettuare nel medesimo tempo azioni opposte con la stessa sua parte e rispetto all’identico oggetto. – No certamente. – Cosí, credo, se si parla dell’arciere, non sta bene dire che le sue mani al tempo stesso allontanano e avvicinano al corpo l’arco, ma dovremo dire che una lo allontana, l’altra lo avvicina. – [c] Perfettamente, ammise. – Ora, possiamo dire che ci sono persone che, per quanto assetate, non vogliono bere? – Certo, rispose, ce ne sono molte, e non di rado. – E che se ne potrà dire?, feci io. Non forse che nell’anima loro c’è un elemento che incita e un altro che vieta di bere? e che questo è diverso e prevale sul primo? – Mi sembra di sí, rispose. – E quello che cosí vieta, quando sorge, [d] non sorge dalla ragione? E gli impulsi e le attrazioni non sono dovuti a passioni e sofferenze? – È evidente. – Non avremo torto, dunque, continuai, a giudicare che si tratti di due elementi tra loro diversi: l’uno, quello con cui l’anima ragiona, lo chiameremo il suo elemento razionale; l’altro, quello che le fa provare amore, fame, sete e che ne eccita gli altri appetiti, irrazionale e appetitivo, compagno di soddisfazioni e piaceri materiali. – No, anzi [e] cosí avremmo ragione, rispose. – Ecco dunque definiti, ripresi, questi due aspetti che sono nell’anima nostra. Il terzo è forse quello dell’animo, quello che ci rende animosi? o avrà esso la stessa natura di uno dei due precedenti? – Forse, rispose, del secondo, l’appetitivo. – Però, dissi, una volta sentii raccontare un aneddoto, per me attendibile: Leonzio, figlio di Aglaione, mentre saliva dal Pireo sotto il muro settentrionale dal lato esterno, si accorse di alcuni cadaveri distesi ai piedi del boia. E provava desiderio di vedere, ma insieme non tollerava quello spettacolo e ne distoglieva lo sguardo. Per un poco lottò [440 a] con se stesso e si coperse gli occhi, poi, vinto dal desiderio, li spalancò, accorse presso i cadaveri esclamando: “Eccoveli, sciagurati, saziatevi di questo bello spettacolo”. – L’ho sentito raccontare anch’io, rispose. – Ora, conclusi, questo racconto significa che talvolta l’impulso dell’animo contrasta con i desidèri: si tratta di cose tra loro diverse. – Sí, significa questo, ammise.
2 E non notiamo, ripresi, anche in numerose [b] altre occasioni che, quando una persona è dominata da violenti desidèri che contrastano con la ragione, essa si rimprovera e prova un senso di sdegno contro l’elemento violento che è in lei? e che, in questo contrasto a due, il suo animo si allea alla ragione? Ma quando esso fa causa comune con i desidèri, in quanto la ragione decide che non deve contrastarli, non credo tu possa affermare di accorgerti che sia mai accaduto in te e nemmeno in altri alcunché di simile. – No, per Zeus!, disse. – E [c] che succede, feci, quando uno crede di essere in torto? Non è vero che, quanto piú è nobile di cuore, tanto meno è capace di arrabbiarsi per la fame, il freddo o qualsiasi altro simile disagio gli venga da chi, secondo lui, fa questo giustamente? e che, come dico, l’animo suo non vuol eccitarsi contro codesta persona? – È vero, rispose. – E quando uno pensa di subire un torto? Non è vero che allora ribolle d’ira, si stizzisce e si fa alleato di quella che gli sembra giustizia? e, attraverso la fame, il freddo [d] e ogni simile patimento, tenacemente resistendo vince, senza desistere dai suoi nobili sforzi finché non riesce o muore o si ammansisce alla voce della ragione che è in lui, come si ammansisce un cane alla voce del pastore? – Il paragone è senza dubbio calzante, rispose; e veramente nel nostro stato abbiamo stabilito che gli ausiliari, come cani, siano soggetti ai governanti, come a pastori dello stato. – Tu comprendi bene, dissi, il mio pensiero. Ma vuoi [e] riflettere su quest’altro punto? – Quale? – L’elemento animoso si rivela l’opposto di come pensavamo poco fa. Allora noi lo credevamo una specie di appetito, adesso invece affermiamo che c’è notevole differenza e preferiamo assai dire che quando l’anima è discorde, esso combatte in difesa della ragione. – Senz’altro, disse. – Ed è diverso anche da questa o ne è un aspetto, sí che nell’anima esistono non tre, ma due aspetti, il razionale e l’appetitivo? Oppure, come nello stato erano tre classi a [441 a] costituirlo (affaristi, ausiliari e consiglieri), cosí anche nell’anima questo terzo elemento è l’animoso? E non aiuta esso naturalmente la ragione, a meno che non lo guasti una cattiva educazione? – È necessariamente il terzo, rispose. – Sí, feci io, sempre che risulti diverso dall’elemento razionale, come risultò differente dall’appetitivo. – Ma non è difficile questo, disse; anche nei bambini si potrebbe notare che fino dalla nascita sono pieni d’animo, ma, in quanto alla ragione, taluni di essi, a mio parere, [b] ne sono totalmente privi, i piú ne acquistano col tempo. – Sí, per Zeus!, risposi, hai detto bene. E il fenomeno che citi si potrebbe constatare anche nelle bestie. Lo confermerà ulteriormente il verso di Omero che piú sopra abbiamo ripetuto: “percotendosi il petto rimproverava il suo cuore”. Lí Omero, come se si trattasse di due cose di cui una rimbrotta l’altra, ha chiaramente rappresentato l’elemento [c] razionale, che riflette sul meglio e sul peggio, mentre rimbrotta quello che s’eccita irragionevolmente. – Parli benissimo, disse.