Tratto da Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 189-190 – F. W. J. Schelling, Sistema della filosofia trascendentale
Dopo aver dedotto l’essenza ed il carattere del prodotto artistico con quella compiutezza che era necessaria ai fini della presente ricerca, non ci resta altro che indicare il rapporto in cui la filosofia dell’arte sta con l’intero sistema della filosofia in generale.
Tutta la filosofia muove e deve muovere da un principio, che, come l’assolutamente identico, é semplicemente non oggettivo. Ora, però, in che modo questo Assoluto non oggettivo ha da essere chiamato alla coscienza e inteso, cosa questa necessaria se è condizione della comprensione di tutta la filosofia? Che non possa essere né compreso né rappresentato per mezzo di concetti non c’è bisogno di dimostrarlo. Non resta dunque altro se non che esso venga rappresentato in un’intuizione immediata, la quale però a sua volta sembra essere essa stessa incomprensibile, e, poiché il suo oggetto ha da essere qualcosa di semplicemente non oggettivo, addirittura contraddittoria in sé stessa. Ma anche se ci fosse una tale intuizione, avente come oggetto l’assolutamente identico, che in sé non è né soggettivo né oggettivo, e se per via di quest’intuizione, la quale non può essere che intellettuale, ci si richiamasse all’esperienza immediata, in che modo anche quest’intuizione può ridivenire oggettiva? Cioè: come si può metter fuori dubbio ch’essa non si basi su un’illusione meramente soggettiva, se di quell’intuizione non c’é un’oggettività generale e riconosciuta da tutti gli uomini? Quest’oggettività dell’intuizione intellettuale, generalmente riconosciuta, e in nessun modo negabile, è l’arte stessa. […]
Se l’intuizione estetica non è se non la intellettuale divenuta obiettiva [cioè fatta oggetto, opera d’arte], s’intende di per sé che l’arte sia l’unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell’operare e nel produrre, e la sua originaria identità con il cosciente. Appunto perciò l’arte è per il filosofo quanto vi è di piú alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna e originaria unione arde come in una fiamma quello che nella Natura e nella storia è separato, e quello che nella vita e nell’azione, come nel pensiero, deve fuggire sé eternamente. La veduta che della Natura si fa artificiosamente il filosofo, è per l’arte la originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo Natura è un poema, chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l’enigma si potesse svelare, noi vi conosceremmo l’odissea dello Spirito, il quale, per mirabile illusione, cercando se stesso, fugge se stesso; infatti si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia alla quale miriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall’ideale, e [il quadro] non è se non l’apertura attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale. La Natura per l’artista è non piú di quello che è per il filosofo, cioè solo il mondo ideale che appare tra continue limitazioni, o solo il riflesso imperfetto di un mondo che esiste, non fuori di lui, ma in lui.