Tratto da Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 218-219 – E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 1983, pagg. 160-163
Certo noi non sappiamo ancora come il mondo-della-vita possa diventare un tema del tutto indipendente, completamente autonomo, come debba poter rendere possibili gli enunciati scientifici, i quali, in quanto tali, anche se in modo diverso da quello delle nostre scienze, devono avere una loro “obiettività”, una validità necessaria puramente metodica, che noi, come chiunque altro, possiamo verificare appunto metodicamente. Qui cominciamo in senso assoluto, non possediamo alcuna logica che possa ritenersi normativa, non possiamo interrogare che noi stessi, dobbiamo approfondire il senso ancora nascosto del compito che ci siamo proposti, dobbiamo provvedere con estrema cura a escludere qualsiasi pregiudizio, a mantenerci esenti da intromissioni estranee (e su questa via abbiamo già fatto qualche passo importante); e perciò da queste precauzioni come in qualsiasi impresa che si attui per la prima volta, deve nascere il nostro metodo. Chiarire il senso dei nostri compiti significa raggiungere l’evidenza stessa del fine in quanto fine, e per essenza rientrano in questa evidenza anche le possibili “vie” che portano ad essa. La precisione e la difficoltà delle considerazioni preliminari che ancora dovremo compiere si giustificheranno da sé, non solo per l’importanza del fine, ma anche per la essenziale novità e perigliosità dei pensieri che cercheranno di venire a capo di quest’impresa.
Cosí il problema che supponevamo investire soltanto i fondamenti delle scienze obiettive, e che ritenevamo un problema parziale nel problema universale della scienza obiettiva, ha finito di fatto per dimostrarsi (come già avevamo preannunciato) il vero e proprio problema, il problema piú specificamente universale. Si può anche dire: esso si presenta dapprima come il problema del rapporto tra pensiero scientifico-obiettivo e intuizione; abbiamo cioè, da un lato, il pensiero logico in quanto pensiero attorno a problemi logici; per es. il pensiero fisico attorno alle teorie fisiche, oppure il pensiero meramente matematico attorno alla sede della matematica in quanto sistema dottrinale, in quanto teoria. Dall’altro lato abbiamo un intuire e un intuito che rientrano nel mondo-della-vita prima di qualsiasi teoria. Proprio qui sorge l’apparenza di un pensiero puro il quale, indifferente, in quanto puro, all’intuizione, ha già una propria verità evidente, addirittura una verità del tipo di quella che è propria del mondo, un’apparenza che rende problematici il senso, la possibilità e la “portata” (Tragweite) della scienza obiettiva. Siamo nell’estraneità reciproca e assoluta: intuizione e pensiero. Perciò, in generale, la “teoria della conoscenza” rimane una teoria della scienza, fondata su una duplicità correlativa (e la scienza rimane costantemente quella definita dal concetto comune di scienza: la scienza obiettiva). Ma mentre il titolo vago e vuoto di intuizione, invece che qualcosa di trascurabile e di svalutato rispetto all’alto valore della logica che si supponeva contenere l’autentica verità, è diventato il problema del mondo-della-vita, mentre, attraverso una seria penetrazione, l’importanza di questa tematica si è rivelata poderosa, si delinea anche un grande mutamento nella “teoria della conoscenza”, nella teoria della scienza; infine la scienza perde la sua autonomia sia come problema sia come complesso di operazioni, e diventa un problema meramente parziale.