Tratto da Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 619-620 – A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 7
Dato che, come è stato mostrato, i concetti prendono in prestito la loro materia dalla conoscenza intuitiva, e perciò tutto l’edificio del nostro mondo dei pensieri si appoggia sul mondo delle intuizioni; noi quindi dobbiamo poter ritornare, sia pure per gradi intermedi, da ogni concetto alle intuizioni, dalle quali esso stesso immediatamente è stato estratto o dalle quali i concetti di cui esso a sua volta è astrazione sono stati estratti: noi cioè dobbiamo poterlo verificare con delle intuizioni, che stanno alle astrazioni nel rapporto dell’esempio. Queste intuizioni forniscono dunque il contenuto reale di tutto il nostro pensare, e dovunque, dove esse mancano, abbiamo avuto nella testa non dei concetti, ma delle semplici parole. Sotto questo riguardo il nostro intelletto assomiglia ad una banca di cambio, la quale, per essere solida, deve avere in cassa dei contanti, per potere pagare, in caso di bisogno, le polizze emesse: le intuizioni sono i contanti, i concetti le cedole. In questo senso le intuizioni potrebbero con molta convenienza essere chiamate rappresentazioni primarie, i concetti invece secondarie: non altrettanto giustamente gli scolastici, sull’esempio di Aristotele (Metaph. VI, 11; XI, 1), chiamarono le cose reali substantias primas e i concetti substantias secundas.