Tratto da Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pagg. 398-400 – J. Eccles, voce MENTE, in Enciclopedia del Novecento, vol. IV, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, 1979.
[…] La chiusura del 1° mondo è stata preservata con grande ingegnosità in tutte le teorie materialistiche della mente. Io dimostrerò ora che questa non è la loro forza, ma la loro fatale debolezza.
I materialisti danno grande rilievo all’apparente accordo fra le loro teorie sul rapporto cervello-mente e le leggi della natura che oggi conosciamo; che questo accordo sia illusorio è tuttavia dimostrato da due considerazioni di grande importanza.
In primo luogo nelle leggi della fisica o in quelle delle scienze che derivano dalla fisica – la chimica e la biologia – non v’è alcun riferimento alla coscienza o alla mente. Shapere sostiene questo concetto nelle sue dure critiche all’ipotesi pampsichistica di Rensch e Birch, in cui si proponeva che la coscienza o protocoscienza fosse una proprietà fondamentale della materia. Indipendentemente dalla complessità dei meccanismi elettrici, chimici e biologici, le “leggi naturali” non accennano in alcun modo all’emergere di questa strana entità non materiale, la coscienza o mente. Con ciò non si intende affermare che la coscienza non compaia nel corso del processo evolutivo, ma semplicemente che la sua comparsa non è conciliabile con le leggi naturali nella loro formulazione attuale. Per esempio, queste leggi non permettono di affermare che la coscienza compaia a uno specifico livello di complessità dei sistemi, come sostengono gratuitamente tutti i materialisti eccetto i pampsichisti. La loro convinzione che una coscienza primordiale sia presente in tutta la materia, presumibilmente anche negli atomi e nelle particelle subatomiche, non trova alcun fondamento nella fisica. Si possono anche citare le domande ossessive degli appassionati dei calcolatori. A quale stadio di complessità e di prestazione si può accettare di attribuire una coscienza a un calcolatore? Fortunatamente questa domanda carica di emotività non necessita di una risposta. Si può fare ciò che si vuole ai calcolatori senza timore di mostrarsi crudeli!
In secondo luogo, tutte le teorie materialistiche della mente sono in conflitto con l’evoluzione biologica. Dato che ciascuna di esse (pampsichismo, epifenomenalismo e teoria dell’identità) sostiene l’incapacità della coscienza di produrre effetti sul cervello e sul sistema nervoso, esse non sono assolutamente in grado di spiegare l’evoluzione biologica della coscienza, che è un fatto innegabile. È cioè innegabile il fatto che essa prima emerga e poi si sviluppi progressivamente con l’aumentare della complessità del cervello. Infatti, secondo la teoria dell’evoluzione, la selezione naturale permette che si sviluppino solo quelle strutture e quei processi che arrecano sostanziali vantaggi ai fini della sopravvivenza. Se la coscienza non produce effetti; il suo sviluppo non può essere spiegato dalla teoria dell’evoluzione. In base alla teoria dell’evoluzione biologica, la comparsa e lo sviluppo degli stati mentali e della coscienza potrebbero aver avuto luogo solo se essi determinassero effettive modificazioni negli eventi nervosi che si verificano nel cervello e di conseguenza modificazioni del comportamento. Ciò può avvenire solo se i meccanismi nervosi del cervello sono aperti alle influenze degli eventi mentali del mondo delle esperienze coscienti, in accordo col postulato fondamentale della teoria dualistico-interazionistica.
Infine la critica piú efficace mossa alle teorie materialistiche della mente è diretta contro il loro postulato centrale secondo cui gli eventi della macchina nervosa del cervello forniscono una spiegazione necessaria e sufficiente della totalità dell’essere umano, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello dell’esperienza cosciente. Per esempio la volontà di compiere un movimento deliberato è considerata come “completamente determinata” da eventi che si verificano nella macchina nervosa del cervello, al pari di tutte le altre esperienze. Ma, come Popper afferma nella sua Compton Lecture del 1972: “Secondo il determinismo, ogni teoria, incluso lo stesso determinismo, esiste a causa di una certa struttura fisica di chi la sostiene – probabilmente del suo cervello. Di conseguenza, noi ci inganniamo, e siamo fisicamente condizionati a ingannarci, ogni volta che crediamo che vi siano argomentazioni o ragioni che ci spingono ad accettare il determinismo. In altre parole, il determinismo fisico è una teoria, che, se è vera, è insostenibile, poiché deve spiegare tutte le nostre reazioni, incluse quelle che ci sembrano convinzioni basate su argomentazioni, in base a condizioni puramente fisiche. Condizioni puramente fisiche, incluso il nostro ambiente fisico, ci fanno dire o accettare tutto ciò che diciamo o accettiamo”.
Questa è una efficace reductio ad absurdum. Tale critica si applica a tutte le teorie materialistiche. Siamo pertanto forzati ad accettare spiegazioni dualistico-interazionistiche del problema del rapporto cervello-mente, nonostante il loro straordinario assunto che vi sia un’effettiva comunicazione in entrambe le direzioni.