Il mondo è tutto ciò che accade. Ok, il mondo accade. Ognuno di noi ha la sensazione che niente possa prodursi di realmente nuovo, che niente di veramente nuovo possa accadere. Come se già tutto in qualche modo fosse già scritto. C’è il cielo. La terra. Il vento. Le auto. Le case. Le strade. I rumori. La luce. I terresti. Forse anche le divinità, o forse no?
È forse questo dubbio che ci fa amare così tanto le divinità. Il fatto che a differenza di ciò che è ovviamente lì, presente, percepibile (il cielo, la terra, il vento…) esse potrebbero anche non esserci. In fondo chi ha fede si dona per niente in cambio. È la base della relazione di amore: il dono si dà per niente. “Il niente per niente è il principio dello scambio. Questa formula, come ogni formula in cui interviene il niente ambiguo, sembra essere la formula stessa dell’interesse, ma è anche la formula della pura gratuità. Nel dono d’amore, qualcosa viene dato per niente e non può essere altro da niente. In altri termini, ciò che costituisce il dono è il fatto che un soggetto dia qualcosa in modo gratuito, nella misura in cui dietro a quello che dà ci sia tutto ciò che gli manca, cioè che il soggetto sacrifichi al di là di quello che ha. […] Supponiamo un soggetto carico di tutti i beni possibili, di tutte le ricchezze, un soggetto che sia colmo di tutto ciò che si può avere. Ebbene, un dono proveniente da costui non avrebbe affatto valore di segno d’amore. I credenti s’immaginano di poter amare Dio perché Dio è supposto detenere una pienezza totale, il colmo dell’essere”[1]. Ma non è così. In realtà la fede in Dio si fonda su qualcosa di misterioso che gli manca e che crea la possibilità (atroce per qualcuno) che non esista. “Non vi è alcun’altra ragione di amare Dio, se non perché forse non esiste”[2].
[1] Jacques Lacan, Libro IV, La relazione d’oggetto, 1956-57, Traduzione di Roberto Cavasola e Céline Menghi sotto la direzione di Antonio Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 1996, p. 137
[2] Jacques Lacan, Libro IV, La relazione d’oggetto…, op. cit., p. 138