L’interpretazione è l’inconscio stesso. È l’inconscio che interpreta. L’inconscio vuole essere interpretato. Quando più si vuole trattare il reale con il simbolico, tanto più si produce del reale. È questo il processo infinito del lavoro analitico. Certo, l’inconscio interpreta, ma questo non ferma il processo. Una parte centrale dell’interpretazione non è la decifrazione. Ma è l’interpretazione che taglia. Nei sintomi moderni accade così.
Unbemerkt e Unberwusst. Due cose completamente differenti. Il secondo comprende un sapere inconscio. Che si sviluppa come una catena significante. Unberwusst contiene il termine sapere. È qualcosa della ricerca di un sapere. Il transfert come amore per il sapere inconscio. Messa in atto del sapere inconscio. La parola inconscio in tedesco contiene la dimensione del sapere. L’inconscio freudiano classico è l’inconscio rimosso. È l’inconscio rimosso che si interpreta. C’è l’inconscio latente preconscio che si manifesta. Ma l’inconscio rimosso si interpreta. Freud nel primo capitolo dell’Io e l’Es, parla di un terzo inconscio: è in Freud una questione aperta. È molto difficile capire cosa vuole dire. Ne parla nel 1915 e 1920 e nel 1911. “Ogni rimosso è inconscio ma non tutto l’inconscio è prodotto dalla rimozione”. Ma che cosa è quest’altra cosa?
Poniamo un inconscio autómaton. L’inconscio e l’interpretazione vanno bene. L’interpretazione è la messa in atto dell’inconscio. Ma c’è anche un altro inconscio. Inconscio tuché, discontinuo. Un inconscio del quale ce ne serviamo per un cambiamento. È un inconscio poetico. È un inconscio che permette di far nascere qualcosa di nuovo. Al centro c’è l’atto analitico. È la questione del reale che lascia a ciascuno la possibilità della propria risposta. È una variazione rispetto all’inconscio ripetizione/continuità. La posta in gioco del transfert è una scommessa sul reale. È un inconscio discontinuità, è un inconscio reale, inconscio tuché.
L’inconscio tuché è un fenomeno temporale. L’inconscio ignora il tempo. Quindi l’inconscio introduce un taglio nel tempo. Il tempo è soltanto retro-proiettato. Tra t1 e t2 c’è t0 che è il tempo dell’origine. Quando si interpreta si cerca l’origine del tempo. L’origine è in ogni momento del tempo. È anche una potenzialità aperta. C’è una temporalità tra i due tempi. La ripetizione è fuori tempo. L’eternità è una versione di fuori tempo. L’interpretazione confluisce sulla questione della atemporalità. C’è una atemporalità, eterna, tutti i giorni. C’è questa discontinuità sulla quale si convoglia il lavoro analitico.
Tutta la messa in gioco del transfert è di puntare sulla discontinuità. L’interpretazione procede proprio da una falla temporale. Interpretare è servirsi del tempo 0. Dell’atemporalità. Per toccare la temporalità bisogna essere in una durata. Il rischio della psicoanalisi è quello di diventare degli interpretativi del passato. Ci sono degli psicoanalisti che vedono il passato!
Siamo in una situazione di maneggiare l’atemporalità. Possiamo dire che il soggetto umano è senza le istruzione d’uso, il significante, la traccia, l’istante che non è il tempo ma un taglio nello sviluppo del tempo. È anche angosciante accorgersene, in quanto in ogni istante si può decidere del proprio avvenire. Si ha il potere di farsi sparire. Camus, ne Il mito di Sisifo, si interroga proprio sul perché non farsi sparire. Perché non suicidarsi. Si può usare l’istante sino alla propria sparizione. È un insegnamento che è insopportabile. Il taglio dell’istante. La responsabilità clinica è insopportabile. Bisogna velarla. E al tempo stesso se è troppo velata si cade nella ripetizione finendo per credere nella concatenazione diacronica. Nel maneggiamento della parola c’è questa questione.