Premessa
Riflettendo sui contesti terapeutici per l’adolescente oggi, significa anche soffermarsi sulla valutazione del peso degli altri contesti nei quali il giovane è inserito: le nuove complesse realtà sociali e culturali, in continuo rapido mutamento; le nuove tecnologie (portatrici tra l’altro di un loro proprio linguaggio), che oltre a migliorare l’accesso alle informazioni contribuiscono però anche ad avvalorare alcune fantasie di onnipotenza; il flusso continuo ma spesso troppo indifferenziato di informazioni in tempo reale dà alla dimensione spazio-temporale una connotazione molto diversa da quella delle generazioni precedenti. I tempi dell’attesa, e quelli dell’elaborazione e introiezione sono amputati, così come viene inevitabilmente trasformata la dimensione spaziale: messaggi SMS, email, chat-lines annullano la distanza, accrescono la libertà d’espressione ampliando notevolmente il raggio di accessibilità comunicativa all’altro ma spesso alimentano anche le illusioni di un contatto privo di continuità.
La famiglia, anch’essa alle prese con tali radicali trasformazioni, non sembra più in grado di svolgere la sua funzione strutturante e contenitiva.
I genitori non sono più i detentori del sapere e del potere, del principio di realtà, ma piuttosto disorientati e confusi, appaiono in perenne crisi, in una società che stenta a trovare un nuovo assetto e nuovi valori da proporre. Le credenze, le identificazioni, gli ideali, il senso della continuità, sono incessantemente messi in crisi di fronte al compito di aprirsi al nuovo e di integrarlo ciascuno nella propria storia e nel vissuto personale.
Un tale scenario nel mondo esterno comporta evidentemente conseguenze complesse sulla strutturazione del mondo interno del soggetto, cambiando contemporaneamente la qualità delle sue relazioni con l’oggetto esterno. Kaës (Kaës, 1998) sottolinea che la realtà psichica si sostiene e trova uno sbocco sublimatorio attraverso i legami e gli oggetti della cultura e, qualora tali sostegni “metapsichici” sono vacillanti, la stessa vita psichica subisce una trasformazione nel suo corso e in taluni è a rischio la stessa sopravvivenza.
Psicoanalisi ed Istituzione
Attraverso il social referencing e l’apprendimento per osservazione, l’Ideale dell’Io ed il Super Io dei genitori, vengono trasmessi ed appresi dal figlio. I “valori” contenuti in essi si possono rappresentare come parametri del sistema motivazionale agonistico, che abbiamo visto essere l’organizzatore più potente della “relazionalità” di gruppo nei primati e negli uomini (Giacolini, T & Carratelli, T.J., 2001). L’attivazione di tali “valori” relativi al sistema motivazionale agonistico, preponderante nell’età adolescenziale, non è dovuta esclusivamente alla maturazione del soggetto, ma è connessa anche altiming sociale costituito dalle “attese” del gruppo sociale verso la classe di età a cui appartiene l’adolescente (Elder, 1998). Queste “aspettative” caratterizzano soprattutto l’istituzione scolastica che funge da dispositivo di verifica delle capacità del soggetto: una vera e propria istituzione a cui è demandata la funzione rituale di gestire il sistema dominanza-sottomissione, ed il corredo emozionale ad esso collegato. Il profondo senso d’incapacità, tipico dei gravi quadri psicopatologici in adolescenza, intensifica il disagio conseguente dalla percezione della propria inadeguatezza rispetto alla vita di relazione, alle attese del gruppo, seguendo questa prospettiva forse risultano più comprensibili i quadri regressivi che portano il soggetto a dipendendere di nuovo totalmente dalle figure genitoriali.
La cura del soggetto che ha subito un severo breakdown evolutivo necessita di tener ben presente la modalità di “controllo” che si adopera per ingaggiare l’adolescente nelle istituzioni rappresentanti il mondo adulto (che in questo caso, però, finiscono per favorire in modo patogeno l’emergere dei “valori” del sistema motivazionale agonistico). Allo stesso tempo, il curante è chiamato a modulare la relazione figlio-genitori, per ridurre il riverbero patogeno delle strutture autovalutative (Ideale dell’Io e Super Io), azione possibile grazie al “transfert istituzionale” del soggetto adolescente e dei suoi genitori verso di lui. Con “transfert istituzionale” ci riferiamo a quella valenza psichica connessa al ruolo che il gruppo organizzato (la società) riconosce al “professionista della mente” (psicologo, psicoterapeuta, pedagogista, educatore…): transfert che dà una forma organizzata alle angosce e le attese connesse con il suo incontro. Le angosce implicite nel “trasfert istituzionale” sono connesse a quel mandato che ogni rappresentate del gruppo (il professionista, appunto) ha verso il soggetto che vuole interagire con il gruppo stesso, ovvero, seguendo questa ipotesi (Giacolini, T & Carratelli, T.J., 2001): verificare il potenziale di minaccia che ogni individuo può avere verso la struttura del gruppo[1]. Quando viene riconosciuto il diritto di curare la sofferenza mentale, il curante è autorizzato dal gruppo sociale, sia esso privato sia esso un’istituzioni pubblica, come figura istituzionale deputata alla verifica del soggetto. Contemporaneamente le “attese” connesse al “trasfert istituzionale” di chi va o è accompagnato/condotto presso un curante, sono quelle di incontrare colui a cui il gruppo ha demandato il potere di amministrare la “moratoria” sui “valori” del gruppo stesso (Winnicott, 1963; Giacolini e Caratelli, 2002). Gestire questa possibilità di “moratoria”, nei casi di grave breakdown evolutivo, come Giacobini e Caratelli hanno evidenziato, necessita della costruzione di un setting psicoterapeutico specifico in grado di riconoscere il primato del sistema attaccamento-accudimento, e deve essere contemporaneamente in grado di mantenere aperto il dialogo con il sistema motivazionale agonistico che intimorisce. L’angoscia connessa al “transfert istituzionale”, nell’adolescente e nei suoi genitori, attiva la dinamica dominanza-sottomissione, che produce vissuti persecutori se si opera nel setting psicoterapeutico tout court. Se però questo primo inevitabile momento è adeguatamente gestito, lo psicoterapeuta può diventare il rappresentante di una presenza “protettiva” all’interno del mondo adulto, e di conseguenza farsi garante e promotore delle risorse del soggetto “vittima” dello sguardo valutativo delle istanze superegoiche, sia del figlio, che dei genitori (Giacolini e Caratelli, 2001, 2002, Giacolini 2004).
Azioni terapeutiche nella clinica istituzionale
Jeammet ha denominato “spazio psichico allargato” quella tendenza propria dell’adolescente a estendere all’ambiente circostante una porzione delle funzioni psichiche impegnate a far fronte alle difficoltà (Jeammet, Ph. 1980) e a tal proposito, l’ambiente istituzionale, per rendersi terapeutico, deve tendere a costruirsi come un “sito analitico allargato” (Monniello, G. & Spano, E., 2003). L’illuminante metafora proposta da Donnet, (“sito analitico”), proprio per figurare l’azione analitica e lo spazio-tempo in cui essa si “situa” (Donnet, J.-L., 1995) mette in evidenzia la partecipazione dell’intero gruppo dei curanti nella costruzione del sito analitico allargato dove è possibile svolgere un’azione terapeutica specifica per l’adolescente, mediante una serie di strategie terapeutiche secondarie. L’obiettivo è quello di garantire che il funzionamento analitico nei confronti dell’adolescente, delle dinamiche di gruppo e di se stessi venga mantenuto. Il lavoro su se stessi, l’autoriflessione sul proprio funzionamento, l’autoanalisi perfezionata di volta in volta dall’esperienza analitica personale, garantisce “quel qualcosa in più” è necessario alla relazione con l’adolescente per produrre il cambiamento.
Quale tipo di psicoterapia psicoanalitica è possibile all’interno di un ambiente istituzionale? Come sarà possibile mantenere operanti le condizioni necessarie per garantire nell’adolescente una domanda d’analisi, seppur, certamente, in forma implicita? Non si può, infatti, che essere d’accordo con Piera Aulagnier quando dice che per fa si che ci sia una domanda, è necessaria che ci sia un’offerta. L’atto di domandare implica che ci sia, non solo qualcuno che risponda, ma che sia anche in qualche modo desideroso che tale domanda avvenga e permetta una localizzazione nel registro relazionale dei due interlocutori (Aulagnier, P., 1975).
L’aumentare degli studi sullo sviluppo infantile consente di riconoscere il ruolo centrale giocato dall’empatia, dalla responsività, dagli scambi visivi, dalla sintonizzazione affettiva, dalla contingenza della risposta e dal senso di sentirsi agenti del proprio cambiamento. Tali processi relazionali si possono considerare anche a partire dai concetti di rispecchiamento e di risonanza. L’adolescente è fisiologicamente orientato a ricercare il rispecchiamento, processo in grado di attualizzare lo scambio intersoggettivo consentendo una progressiva consapevolezza dell’esistenza di qualcuno che capisce e risponde intenzionalmente alle sue attese adolescenziali.
Le basi neurofisiologiche del rispecchiamento oggi si spiegano grazie alle scoperte dei “neuroni specchio” (Rizzolatti, G. & Arbib, M., 1998). La struttura dei neuroni specchio ed il loro funzionamento hanno suggerito l’esistenza di un legame con gli eventi della psicoterapia: il sistema dei neuroni a specchio immagazzina e codifica modelli comportamentali inconsci non riflessivi, modelli di risposte che sono definiti “memoria procedurale” (Stern, D.N., 1998). Pertanto, per esempio, l’essere vicini ad un operatore che resta calmo e comprensivo, che mostra compassione e sollecitudine quando il paziente rivive una situazione traumatica, produce una nuova e salutare esperienza emotiva. La risonanza, invece, in quanto risposta di una persona ad un’altra, rappresenta quella “sonorità espressa” riconosciuta dall’interlocutore e che genererà una risposta. Alla base di questa ipotesi ci sono i processi identificati da Stern come modalità di condivisioni di stati, modalità d’essere vicini all’altro: tutte quelle condizioni che implicano la sincronizzazione dei suoni con i gesti. Meares (Meares, R., 2000) considera l’effetto della risonanza come la trasformazione di un processo lineare in un processo complesso. D’altra parte, la non risonanza, si manifesta come incapacità a farsi coinvolgere, a connettersi emotivamente con gli altri attraverso gli stati di condivisione e di sintonizzazione. La non risonanza è un fattore che rema contro il cambiamento psichico.
La clinica istituzionale
In questi ultimi anni le esperienze di clinica psicoanalitica in ambito istituzionale, in particolar modo con adolescenti gravemente sofferenti, ha ampliato la ricerca da un lato verso una nuova concettualizzazione del setting e l’ampliamento della dimensione del controtransfert e, dall’altro, ha favorito la comprensione circa i processi psichici attivati nel gruppo e che la pratica psicoanalitica di gruppo promuove, e cioè il riconoscimento dei legami intersoggettivi e dunque la costruzione dell’intersoggettività (Kaës, R., 1999).
Ci troviamo di fronte ad un numero sempre crescente di richieste d’intervento per adolescenti in cui predomina il “provato” sul “pensato”, l’”agito” sul “parlato” e la realtà dell’oggetto sulla sua rappresentazione, le esigenze dell’Ideale dell’Io su quelle del Super io, il ricorso al corpo cortocircuitando i fantasmi, o all’agito nel mondo esterno (Cahn, R., 1998).
È noto che in situazioni così configurate, la sola psicoterapia individuale si è rivelata spesso un dispositivo insufficiente, perché, da un lato, le angosce regressive che una relazione intima duale tende a generare, incidono negativamente sul lavoro di cura. L’intervento terapeutico in un gruppo istituzionale si avvale di un contesto di relazione terapeutica che sarà sperimentato come relazione duale. Sul piano operativo non si tratta pertanto di progettare modelli operativi d’intervento, intesi come soluzioni di maggiore efficacia rispetto ad altri, ma piuttosto di riconoscere e riflettere, costantemente, sul valore e sulla realtà del percorso che si sta realizzando.
Tutto il gruppo dei curanti è mobilitato e ciò favorisce l’instaurarsi di transfert laterali e la contemporanea diffrazione e/o diluizione degli investimenti su oggetti differenti (sia per ruolo e funzione che per caratteristiche personali), si ha così la possibilità di osservare la qualità e la funzione delle scissioni e degli spostamenti operati dall’adolescente psicotico, limitando al tempo stesso il più possibile le angosce scatenate dalla sola relazione duale. Come fa notare Käes (Käes, 2000), il gruppo di per sé sospinge (anche) il soggetto adulto, in questo caso gli operatori, in una situazione di “riadolescenza”. Sempre lo stesso autore afferma che il lavoro psicoterapeutico di gruppo ha evidenziato quanto la vita psichica “individuale” sia definita e garantita attraverso formazioni metapsichiche sensibili alle strutture profonde della vita psichica sociale e culturale: come ad esempio l’attività preconscia (Kaës, R., 1998).
La configurazione gruppale, tra le altre cose, consente l’individuazione di quei passaggi fondamentali che accompagnano la ricerca identitaria di ogni adolescente, essa produce quella regressione dell’Io in grado di garantire l’esistenza di un contenitore valido per il mantenimento della continuità psichica, continuità che viene di volta in volta messa in pericolo dall’intensità dei rimaneggiamenti psichici in corso o dalla psicopatologia in atto. Il dispositivo gruppale, amplificando l’effetto di “plurivocalismo”, garantisce l’accesso diretto alla gruppalità interna, in adolescenza, infatti, è all’opera la trasformazione della gruppalità psichica interna che fino ad allora era esclusivamente di tipo familiare e che invece adesso trova sbocco nella direzione di una gruppalità interna più sociale (Kaës, R., 2000).
La situazione gruppale, secondo Richard, sintetizza un’unità immaginaria (quella che Anzieu chiama “l’illusione gruppale”) ed il suo contrario, il riconoscimento della divisione e della mancanza: in essa l’adolescente riconosce la molteplicità delle sue voci interiori e dei suoi riferimenti all’altro. La situazione gruppale facilita il passaggio dalla modalità immaginaria del legame all’altro e della relazione oggettuale ad una modalità simbolica di legarsi e relazionarsi all’altro (Richard, F., 2000).
Il gruppo dunque favorisce la diffrazione del transfert, l’esperienza d’universalità, di identificazione orizzontale, e l’oggetto di mediazione: la musica, le attività artistiche, la lettura, la redazione di racconti, mobilita la “figurabilità” e l’immaginazione del singolo ed il suo articolarsi e potenziarsi con quella degli altri. Sia l’immaginario individuale che quello gruppale, trovano così un luogo di espressione e di possibilità di rappresentazione. Ciascun minore, forse senza neanche accorgersene, si arricchisce al contempo dei molteplici apporti immaginativi, transferali, rappresentativi degli altri componenti del gruppo.
Il gruppo e l’oggetto di mediazione sono alla base dei processi psichici in gioco nel delicato legame tra processi primari e secondari, tra conscio ed inconscio. Attraverso tali processi di legame che soggetto e gruppo incontrano la simbolizzazione. Basti pensare al vasto lavoro di ricerca sui “gruppi di mediazione” (Chouvier et al., 2002) ed in particolare al contributo di Vacheret (Vacheret, C., 2002) sull’utilizzo del “Photolangage”, per convincersi che l’obiettivo non è un lavoro di costruzione e ricostruzione della storia personale, né la proposta di ipotesi interpretative, ma piuttosto quello di ricreare, attraverso l’uso dell’oggetto di mediazione costituito in questo caso da fotografie, le condizioni di accesso ai fenomeni transizionali. Ciò che in tali gruppi risulta essere terapeutico sono proprio gli scambi nel gruppo. Il gruppo diventa luogo di produzione d’immaginari comuni al soggetto e al gruppo, e contenitore di produzioni preconsce che entrano nella catena associativa individuale e gruppale, alimentandosi vicendevolmente.
Riprendendo il discorso sul “sito analitico allargato”, nell’ambito della clinica istituzionale, cerchiamo di fornirne una caratterizzazione più precisa: esso può essere definito come la configurazione propria di un luogo occupato da un insediamento umano, che fornisce le risorse locali necessarie alla vita quotidiana e al suo miglioramento. Si cerca, cioè, di creare, in questo “spazio comportamentale” le condizioni di un incontro fra l’adolescente in cerca di soggettivazione e la geografia di un luogo istituzionale che ha la sua storia ed i suoi abitanti: psicologi, riabilitatori, psicoterapeuti, educatori e operatori in genere, il cui controtransfert, ma forse sarebbe più esatto dire transfert, può essere reso funzionale ai possibili movimenti transferali del singolo adolescente.
L’obiettivo del lavoro del gruppo dei curanti è quello di contribuire a definire quel sito allargato, quel luogo di possibile insediamento per lo sviluppo della vita psichica. La cornice istituzionale, con la sua precisa identità, le sue regole, i suoi limiti, delimita il sito analitico allargato che svolge sia una funzione di contenimento che una “funzione terza”, sia per il paziente che per il gruppo dei curanti.
Bibliografia
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