Il motto che recita: << […] le voci umane articolate significano a placito >>[1], cioè per convenzione, non convince il Vico, il quale sembra rifiutare la concezione arbitraria del linguaggio: Ma delle lingue volgari egli è stato ricevuto con troppo di buona fede da tutti i filologi ch’elleno significassero a placito, perch’esse, per queste lor origini naturali, debbono aver significato naturalmente[2].
Le parole si formarono per << trasporti di nature o per proprietà naturali o per effetti sensibili >>[3]. Omero certo non eccelleva per delicatezza ma << come [un] grande rovinoso torrente non può far di meno di non portar seco torbide l’acque e rotolare e sassi e tronchi con la violenza del corso, così sono le cose vili dette, che si truvano sì spesso in Omero >>[4], e nonostante ciò, anzi, soprattutto per ciò, il Vico continua a considerare Omero << il padre e il principe di tutti i sublimi poeti >>[5]: le sconcezze e le assurdità diventano convenevolezze e necessità, e la poesia diviene creazione di un popolo intero e non il frutto di un’unica anima. Nel capitolo sesto del terzo libro, intitolato Prouve filologiche per la discoverta del vero Omero, Vico infatti cerca di fondare, filologicamente, appunto, quella che è una delle sue più geniali intuizioni, e cioè, che Omero stesso è un carattere poetico. L’anima di Omero si frantuma in tante “anime”, quelle del popolo greco: << […] che per ciò i popoli greci cotanto contesero della di lui patria e ‘l vollero quasi tutti lor cittadino, perché essi popoli greci furono quest’Omero >>[6]. Quindi, il fatto che di Omero non si sappia la patria, non si conosca l’età in cui visse, il fatto che fosse cieco, e che quindi che avesse forte la memoria[7] e quindi anche la fantasia[8], che fosse povero e che quindi << andò per gli mercati di Grecia cantando i suoi propri poemi >>[9], cioè, che furono i rapsodi a cantare le sue storie nelle città greche[10], queste, e tante altre prove, possono condurre alla discoverta del vero Omero e cioè <<che quest’ Omero sia egli stato un’idea ovvero un carattere eroico d’uomini greci, in quanto essi narravano, cantando le loro storie >>[11].
Omero sarà allora egli stesso un “carattere” poetico: una finzione creduta per vera da un intero popolo. Egli compose da giovane l’Iliade, quando giovane era la Grecia dove le passioni dominavano sulla ragione e poi vecchio compose l’Odissea, quando la Grecia entrò nell’epoca della riflessione. L’Omero giovane cantò Achille quello vecchio Ulisse.
[1]Ivi, 444.
[2]Ibid.
[3]Ibid.
[4]Ivi, 822.
[5]Ivi, 823.
[6]Ivi, 875.
[7] Cfr., Ivi, 871.
[8] << Onde la memoria è la stessa che la fantasia, la quale perciò “memoria” dicesi da’ latini (come appo Terenzio truovasi “memorabile” in significato di “cosa da potersi immaginare”, e volgarmente “comminisci”, per “fingere”, ch’è proprio della fantasia, ond’è “commentum”, ch’è un ritruovato finito) […] >>, Ivi, 819.
[9] Ivi, 872.
[10] <<… i quali furon uomini volgari, che partitamente conservarono a memoria i libri de’ poemi omerici >>, Ivi, 840.
[11] Ivi, 874