La realtà divenuta incomprensibile (40/40)

Bergson pone l’accento su quel meccanismo che ci porta a considerare il tempo un mezzo omogeneo e che non ci consente di comprendere che la durata reale si compone di momenti eterogenei interni gli uni agli altri, che diventano un tutto omogeneo perché proiettati mediante la loro spazializzazione. Questo meccanismo ci è trasmesso anche dalla filosofia di Kant che estende il rapporto di causalità, utile per comprendere il funzionamento del mondo esterno, anche ai fenomeni interni.

Ciò ha reso la libertà un fatto assolutamente incomprensibile, come il noumeno. La durata è stata confusa con lo spazio. Noi viviamo esteriormente, nello spazio e non nella durata dove i momenti sono interni, eterogenei gli uni agli altri e «in cui una causa non potrebbe riprodurre il proprio effetto dal momento che essa stessa non si riprodurrà mai»[i].

In questo modo, la coscienza è tormentata dall’irrefrenabile desiderio di distinguere, suddividere, spazializzare, ed è così che si finisce col sostituire il simbolo alla realtà, o comunque si finisce per leggere la realtà solo attraverso il simbolo.


[i] Bergson H., Saggio sui dati immediati della coscienza, op. cit., p. 147.