Omogeneo versus eterogeneo (23/40)

Continuamente ci illudiamo di far partecipare i nostri stati di coscienza alla esteriorità delle cose esterne. Noi solidifichiamo il nostro flusso di coscienza, poniamo delle distinzioni in esso, ed è in questo modo che riusciamo ad oggettivarci per entrare in qualche modo nella corrente della vita sociale, per stare insieme agli altri.[i]

La rappresentazione geometrica nello spazio omogeneo riduce il tempo in simultaneità e il movimento in immobilità: è questa la condizione dalla quale non si può prescindere per poter fare scienza. Ma se il nostro flusso di coscienza fosse realmente omogeneo potrebbe essere segmentato e gli stati si potrebbero ripresentare nuovamente. Gli eventi in qualche modo sarebbero determinati e nessuna libertà sarebbe più possibile. Se i momenti reali dello scorrere del tempo venissero percepiti con maggiore attenzione essi non si giustapporrebbero ma si compenetrerebbero formando un’eterogeneità all’interno della quale, l’idea di determinazione necessaria, non avrebbe alcun senso: noi saremmo liberi, avremmo una coscienza assoluta di noi stessi.

La matematica riduce il tempo a simultaneità e il movimento a immobilità. Tutti i fenomeni non convertibili in simultaneità, ovvero in spazio, sono scientificamente incomprensibili. Ogni stato potrebbe ripresentarsi nuovamente, entrerebbe in gioco la causalità e pertanto la determinazione necessaria e, di conseguenza, la libertà diventerebbe incomprensibile. Kant, nella Critica della ragion pura, ha posto la libertà fuori del tempo, innalzando così una barriera invalicabile tra il mondo dei fenomeni e quello delle cose in sé. [ii] Se i momenti della durata realmente percepiti dalla coscienza attenta, invece che giustapporsi si compenetrassero, formando gli uni rispetto agli altri un’eterogeneità dove l’idea di determinazione necessaria perdesse ogni ragion d’essere, allora la coscienza diverrebbe una causa libera.


[i] Quando parliamo dei nostri stati di coscienza «il nostro interesse è rivolto a mantenere quell’illusione grazie a cui facciamo sì che essi partecipano all’esteriorità reciproca delle cose esterne: infatti questa distinzione, e nello stesso tempo questa solidificazione ci permettono di attribuire loro malgrado la loro instabilità, dei nomi distinti, ci permettono di oggettivarli di farli entrare in qualche modo nella corrente della vita sociale». Bergson H., Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaele Cortina Editori, Milano, 2002, p. 146.

[ii] Bergson H., Saggio sui dati immediati …, op. cit., p. 148.